I colori del Mediterraneo

Giovanna Zofrea, Marzo/Aprile 2009

Eduardo, 1981 - Tecnica mista su tela - cm 60x80 - Collezione De Filippo

A condurlo entro le fatidiche, shakespeariane mura fu l’amore: vinse la cattedra al Liceo Artistico e lasciò, non senza rimpianti, la sua adorata Napoli, portandosi nel cuore e negli occhi il suo sole, la sua magica luce, il suo mare, per raccont arci, poi, sulle sue tele. Il primo impatto con Verona non fu semplice. “ A scuola – racconta – all’inizio molti miei colleghi mi consideravano un “terrone” che era venuto a rubare il posto ai veronesi. Ma trovai anche molti amici, personaggi indimenticabili come il grande Renzo Marinelli, che mi furono vicini e, un po’ alla volta, riuscì ad inserirmi. Oggi sono considerato a tutti gli effetti un artista veronese. Ed è strano: quando stavo a Napoli, funzionava il “nemo propheta in patria”, per cui là ero piuttosto ignorato. Oggi, invece, che sono considerato un pittore veronese, anche la mia città si è aperta alla mia arte. La mia fortuna è che so aspettare e finora le cose mi sono sempre tornate, regalandomi risultati che, forse, se avessi chiesto, non avrei ottenuto”.

- Tante mostre, in tutti questi anni, che hanno portato le tue tele nel mondo: Stati Uniti, Brasile, Olanda, Austria, Francia, Irlanda e, recentemente, un vero trionfo a Singapore: tu hai la straordinaria facoltà di adeguarti alle atmosfere dei vari posti in cui vai, pur mantenendo intatti i tuoi colori, le tue emozioni tutte mediterranee.

Sono nato a Marechiaro, in una villa romana dove si scavano le patate e si trovano pezzi di antichi bassorilievi. Mio padre mi aveva indirizzato agli studi di ingegneria, ma io preferii l’Accademia: l’arte per me è una autentica vocazione. E la mia ispirazione è fondamentalmente sempre mediterranea. Ho elaborato varie tecniche per riprodurre le diverse atmosfere, anche quelle nebbiose del nord, senza rinunciare alla luce, ai colori che mi porto dentro dall’infanzia. Per esempio, l’uso dei bianchi, delle foglie d’oro e d’argento e, soprattutto, di quell’universo cromatico vivo, essenziale, solare che mi appartiene profondamente.

- Qui a Verona, dopo la tua prima mostra alla Galleria Ghelfi, hai esposto due volte alla Galleria dello Scudo, a Palazzo Maniscalchi Erizzo, in occasione dei Mondiali di calcio poi, man mano che eri considerato sempre più veronese e sempre meno napoletano, ti si sono aperte più strade, anche in Italia, fuori dalle mura scaligere – Napoli, Camerino, Capri….- che in questa tua città d’adozione. È il “nemo propheta in patria” che si ripete?

Carlo Giuffre nelle vesti di Felice Sciosciammocca, 2005 - Tecnica mista su tela - cm 50x70

Spero proprio di no. Sono in attesa di una mostra che dovrebbe farsi qui a Verona, organizzata dal Comune. Intanto mi è stata richiesta un’altra personale a Singapore, in una grande struttura governativa dedicata alle arti… La mia tecnica di usare il bianco in rilievo, con i tamponi del batique, che poi gratto con un rasoio, creando le ombre e dando al colore uno spessore materico e una tonalità dinamica particolare che si arricchisce, poi, delle luminosità degli ori e degli argenti, è stata molto apprezzata da Tan Kay Young, presidente del Politecnico di Singapore, che aveva visto le mie opere in Irlanda. Mi ha invitato per giorni a Singapore, dove due cose mi hanno colpito: la vegetazione, quei verdi incantevoli, e la straordinaria disponibilità di chi mi ha accolto, offrendomi una grande lezione di cordialità e sensibilità artistica e colturale.

- Parliamo ancora della tua arte, che è andata semplificandosi graficamente – è quasi sparito quel “ filo di Arianna” (che legava con luci circolari: colori forti e anche contrastanti) che caratterizzava le tue prime opere – è vantaggio di una maggior consapevolezza tecnica e cromatica, che ne arricchisce, a mio avviso, la suggestione poetica. E del tuo legame con Napoli, che è anche legame con Eduardo, cui hai dedicato un ritratto, e a Carlo Giuffrè, che pure hai ritratto.

Il ritratto in bianco e nero di Eduardo, di cui oggi Luca suo figlio, conserva l’originale, lo feci l’ultima volta che egli venne a recitare a Verona al Teatro Ristori, nel 1981. Fu poi esposto a Roma nella mostra dedicata al grande drammaturgo napoletano a dieci anni dalla sua morte e fu pubblicata sul settimanale della Repubblica. Quanto a Carlo Giuffrè , lo conoscevo da quando noi, del Liceo Artistico di Napoli, facevamo le scenografie per suo fratello Aldo. Ho regalato a Carlo un suo ritratto dal “Medico dei pazzi” come omaggio al Maestro che continua a farci godere la grandezza di Eduardo e della grande cultura napoletana, perché Napoli, dove torno spessissimo, è la forza che mi fa andare avanti e mi fa star bene anche qui, tra le nebbie del Nord.

- Un’ultima domanda, sui tuoi maestri ,cui ti senti più legato….

I miei maestri sono stati i vecchi paesaggisti napoletani, che da giovane, accompagnavo in macchina e andavamo a dipingere insieme. Sono poi sempre stato affascinato da Burri di cui mi appassionavano il colore e la matericità . Poi Picasso, che ho scoperto in età più matura e infine gli spazi dorati dell’art nouveau.

- Pippo Borrello , un uomo semplice, autentico, che ha saputo integrarsi senza sforzo nella realtà veronese, filtrando la nebbia del nord con la luminosità della luce e dei cromatismi mediterranei.