Nino D'Antonio

Nino D'Antonio, 1988

Jazz, 1988 - Tecnica mista su tela - cm 150x120 - Collezione Privata Roma

Non so se Raffaele La Capria conosca Borrello. Ma so che Borrello conosce il tratto di costa che va da Donn’Anna a Marechiaro quanto, e forse più, del protagonista di Ferito a morte. E non tanto perché vi è nato (lo straordinario feudo paterno inglobava nella sconcertante geografia del luogo persino la piccola chiesa e la Finestrella celebrata da Salvatore di Giacomo), quanto per un legame viscerale, sensuale, e per molti aspetti patologico con quelle acque, percorse e vissute quotidianamente al di la del variare delle stagioni, quasi insopprimibile canone di vita.

Un mare che trent’anni fa conservava intatto l’incantamento e la suggestione che dai Greci ai Vedutisti inglesi, sino a Gigante e a Pitloo avevano consacrato Posillipo nella poesia e nell’arte. Un mare e una costa e la collina sim consuma a spegnersi, e il tufo si offre all’erosione dell’acqua con una voluttà antica, creando diaclasi e anfratti, grotte e squarciature in un andamento da merletto d’epoca.

L’incontro con la pittura non è forse estraneo alle suggestioni del paesaggio e alla diffusa presenza di pittori nella zona. Nascono così i primi acquerelli teneri e incerti. In apparenza solo un momento di pausa nel febbrile rapporto con il mare, e invece Pippo Borrello lascia gli studi classici me si dà alla pittura.
La scoperta dell’ambiente artistico in quegli anni a Napoli più che mai ricco di fermenti lo affascina. Conosce Emilio Notte, lo frequenta, e ne riceve incoraggianti apprezzamenti; poi Guido Biasi, esponente di punta del Gruppo 58 con il quale muove i primi passi sull’infimo terreno delle avanguardie. Molti miti crollano, ma molti giudizi lo trovano dissenziente. Le superfici bianche e asettiche proposte dall’Astrazione, la geografia di segni solitari, scanditi secondo un ritmo rigoroso, l’assenza assoluta dell’immagine sono fatti che lo sconvolgono.

Ma non rifiuta niente, prima di averne capite le ragioni: è il solo modo per cercare un proprio orientamento nell’intricato panorama di quegli anni. Sono incontri – insieme a quelli che verranno durante i corsi all’ Accademia – destinati a lasciare un segno e a dare uno scossone al credo paesaggistico dell’esordiente Borrello, al punto da spingerlo a bruciare sulla spiaggia, testimone una luna indifferente, tutta la sua prima produzione dopo aver visto le opere di Notte di ispirazione cubista.

Il rapporto privilegiato con il mare si trasferisce ora nella pittura. “Ma non era sufficiente conoscere e amare il mare. Anzi. Questo mi avrebbe portato ad una pittura di rappresentazione, ed io non volevo. Per anni ho dovuto tenera a freno la tentazione di trasferire sulla tela l’accavallarsi furioso dell’onda contro gli scogli di Marechiaro. Poi ho capito…”

Apparizione, 2006 - Tecnica mista su tela - cm 100x150 - Collezione Vision Center-Cork

E non dev’essere stato facile, nel clima arroventato e confuso dell’Informale, sotto la suggestione di Biasi e degli amici del Gruppo (tutti più o meno riconducibili al Movimento Nucleare, ma già protesi verso un ricerca oggettuale) e l’innamoramento per un’artista della statura di Armando de Stefano il quale, proprio sul finire degli anni ’50, si allontana dal filone realistico e dalla pittura come racconto per un tipo di ricerca piuttosto vicina all’Espressionismo materico e astratto. E poi c’è Notte non meno irrequieto dei suoi allievi e allora eccitato paladino di Picasso.

Borrello sente di non avere più ancoraggi, e annota smarrito:”Ma i musei, l’insegnamento dei maestri, la tradizione della nostra pittura, tutto questo serve ancora? A me sembra di vivere un’avventura.”

E ha ragione anche la figurazione alla quale – nonostante tutto non ha mai abiurato, non è più quella degli anni di Accademia. Sotto la spinta di De Stefano e Ferrosi, di Cremonini, Zigaina e Vespignani il rapporto immagine – spazio, pressoché fermo ai canoni rinascimentali, è stravolto. L’impianto tradizionale salta; scompaiono le ribalte, le prospettive, le fughe. Lo spazio non ha più confini: si apre, genera nuovi spazi, i quali a loro volta si accavallano, si intersecano, mentre il gioco dei piani crea altri spazi illusori, in una meccanica che altera tempi e immagini e che spesso finisce per muoversi fuori del reale.

Ne deriva una rappresentazione dell’immagine insospettabile e ambigua, tale da consentire una lettura a più facce dell’opera. Siamo ad un reticolo di esperienze in parte ancora da verificare, alle quali non è estraneo un nuovo modo di intendere il Surrealismo, non più astratto il quale aprendosi al quotidiano si alimenta via via delle infinite stimolazioni che la realtà può suggerire.

E la realtà di Borrello rimane il mare. Ma non più quello fra le cui onde ha preso slancio e forma la sua adolescenza. I confini e caratteri di quello specchio d’acqua appartengono al suo amarcord, il passaggio risente sempre meno di connotazioni partenopee.

Poi anche queste ultime sopravvivenze scompaiono per lasciare il posto a un distesa d’acqua senza confini e al moto incessante dell’onda, che genera e avvolge ambigue figure: ninfe, naiadi, bagnanti senza tempo.

“Ho fatto il pittore perché è un’avventura. E voglio viverla fino in fondo.” Penso a Dominique Fernandez che ha identificato il carattere distintivo di noi napoletani in questa straordinaria disponibilità all’avventura, forse proprio per le componenti di rischio, di incertezza e d’imprevedibilità che essa comporta.

Per cui anche quando Borrello cambia l’attitudine ed è coinvolto da nuove esperienze, è sempre il fascino dell’avventura a intrigarlo. Sarà così nelle frequenti scorribande per l’Europa del nord, gli occhi avidi ai maestri dell’espressionismo; così durante il lungo soggiorno nel Michigan; e ancora in California, fortunato vincitore delle selezioni del Rembrandt Project.

La tipicità dell’artista – alla quale fa riferimento Solmi non credo sia estranea a questo crogiolo di incontri e di sensazioni, che vengono stranamente ad innestarsi su un terreno già sconvolto da contrastanti esperienze.

Questo spiega come l’iniziale tendenza al racconto e ad una pittura piuttosto descrittiva possa in apparenza dissolversi alla luce dell’insegnamento di Notte e sotto i colpi dissacratori di Biasi e compagni, per poi riaffiorare imprevedibile (e ovviamente con ben altri esiti) dopo la scoperta degli Espressionisti.

Viene a porsi così un legame – di certo poco leggibile nelle sue stratificazioni tormentate ed ambigue – fra una mediterraneità di origine sensuale e prepotente e le suggestioni intense dell’arte nordica, reso più complicato dalle inquietudini dell’artista, sempre tentato da ogni possibile anarchia, anche all’interno del proprio credo.

Laminar flow, 2006 - Tecnica mista su tela - cm 100x80 - Comune di Cork

Le semplificazioni appaiono superflue, specie se si tiene conto che ogni possibile riferimento a Ensor, a Kirchner, Klimt, nasce più dalla scaltrezza e dell’osservatore che non dalla presenza di sicure spie, anche se è innegabile che nella solarità di Borrello, nei suoi bianchi calcinati, nella sazietà di luce che invade le sue tele si avverta qualcosa di diverso e di più intrigante che una semplice e diffusa mediterraneità.

E Francesco Butturini, da anni vicino alla ricerca di Borrello, non ha mancato di cogliere queste consonanze geografiche prima ancora che culturali, riconoscendo al tempo stesso la piena autonomia dell’artista e la maturità degli esiti attinti. Ma, forse, al di là delle straordinarie cromie a larghe campiture e di quella luce, che è di sicuro la componente magica delle sue tele, è il segno a caratterizzare a prima vista la pittura di Pippo Borrello.

Un segno che conserva intatta e sicura la sua matrice classica, e che procede nell’alveo di un registro quanto mai controllato, anche se in apparenza – ma solo in apparenza – si libera da ogni originario condizionamento per dipanarsi, fantasioso e ribelle, tormentato e pindarico al di là di ogni iniziale progetto.-

Ed è qui che la lezione espressionistica (e le tangenze a livello compositivo mi riportano più al cinema che alla pittura), nonché gli echi onirici del surrealismo si fanno più scoperti: il segno sensuale e vitalistico si avviluppa, si intreccia, si sovrappone, corre libero sulla tela per rinchiudersi a spirale e, senza mai interrompersi, prende forma, si fa immagine, dalla quale si generano altre immagini.

Un segno iconico, che segue andamenti di gusto fleury (senza per questo ricalcare soluzioni esaurite nello stesso originale in un reticolo senza fine, dove l’occhio si incanta ad inseguire forme familiari che hanno la vaghezza del mito.

E nel mito, che si alimenta del presente, nella metafisica del cosiddetto quotidiano va cercato il valore della ricerca di Borrello, pittore senza etichetta.